Informazioni personali

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Sono una pedagogista e una trainer counselor olistica. Le mie competenze olistiche sono: couseling, shiatsu, master reiki, sciamanesimo, channeling e letture registri akashici, radiestesia, laboratori sensoriali ed emozionali, creazioni artistiche ed energetiche.

sabato 1 dicembre 2018

PAROLE PER BAMBINI/E IN VOLO


Sono Cristina e vivo nella Terra di Mezzo, laddove non vi è né Cielo né la Terra, né l’uomo, né gli esseri di Luce, un mondo a se stante che osserva gli altri mondi e li ama, immensamente, teneramente e liberamente.
L’isola che non c’è? Bella, ne ho sentito parlare, ma non vivo nemmeno lì. Vivo nell’immensità di una parola che voi chiamate Cuore. Dove si trova? In te, al di fuori di te, e in ogni cosa vivente e non. Ovunque, in un nulla.
E’ semplice per un/a bambino/a comprendere cos’è il cuore perché non lo immagina come un organo fisico, né come un simbolo rosso con una freccia nel mezzo, lui/lei lo abita quando sente le parole avvolte da un abbraccio che dicono: “ti voglio bene”. Ti amo! Ed ecco che il/la bambino/a ha raggiunto la mia casa.

martedì 20 novembre 2018


Una porta si apre ed arriva l’immaginabile pienezza di un soffio che gonfia il cuore e lo rende volo.
Il cuore ora è libero di conoscere la bellezza, la grandezza che emana il suo battito, la giocosità che da sempre desidera esprimere.
Va nella vita, nelle molte vite e assapora il contatto con altri cuori. Ma con un solo cuore diventa un unico battito in armonica con l’Universo. E l’Universo si commuove: nascono stelle, comete, pianeti, galassie, esseri di luce. Tutto diventa un battito nel battito, un ritmo senza fine chiamato Amore.

sabato 17 novembre 2018

MESSAGGI DI LUCE DAI MAESTRI 

Essere discepoli non è permettere a qualcuno di conoscerti quanto tu stessa sai e scopri di te. 
Essere discepoli significa aggiudicarsi il posto che ti è stato assegnato nel sentiero del cosmo e nella visione del Tutto. 
Essere te è già essere discepola di ciò che ti eri prefissa di essere e di sperimentare in questa vita. E niente e nessuno ti potrà insegnare l’arte del rimanere lì dove hai scelto di costituirti Nuova Creatura.
Essere nella fedeltà di te e di ciò che ti viene affidato è rimanere Uno nel Tutto senza perdere la propria Essenza e la propria capacità di generare vita nuova in te.
Tu sei co-creatrice e rigeneratrice di Vita. Nessuno ti può insegnare ciò che sei per tua Essenza e per tua costituzione.

martedì 30 ottobre 2018

RITI DI PASSAGGIO PRE E ADOLESCIENZIALI


RITI DI PASSAGGIO PRE E ADOLESCIENZIALI

La vita quotidiana è un insieme di azioni e di attività rituali che compiamo tutti i giorni: ci svegliamo a un’ora stabilita, facciamo colazione, ci laviamo, ci rechiamo al lavoro o a scuola, pranziamo, e così via… Gesti semplici e abitudinari che danno stabilità, sicurezza, un senso di controllo nella sfera culturale di appartenenza della persona.

Nella fase pre e adolescenziale la routine quotidiana lenisce la fase del grande movimento emozionale e fisico che vive il/la ragazzo/a. Vi sono tappe importanti che il giovane deve affrontare non solo dentro ma anche fuori di sé. Avvengono rotture, cambiamenti, perdite e acquisizione di nuove identità, relazioni, luoghi, che necessitano di essere scandite nel mondo formale attraverso i riti di passaggio.

Il termine “riti di passaggio” venne usato per la prima volta dall'etnologo e studioso del folklore Arnold Van Gennep, che lo sviluppò in un suo lavoro divenuto celebre, “I riti di passaggio” (1909). Secondo la sua definizione, molto ampia e a volte criticata, questi riti accompagnano i cambiamenti di stato, di età, di occupazione, di luogo e segnano le stagioni e le diverse fasi cicliche del calendario (tradizioni, feste). I riti contraddistinguono essenzialmente le tappe del Ciclo di vita, "dalla culla alla tomba": nascita, pubertà, matrimonio e morte, e accompagnano le fratture e le discontinuità che si producono lungo il corso temporale e sociale dell'esistenza. Pertanto, possono essere definiti come atti simbolici che permettono di affrontare queste “rotture” e transizioni della vita.

Un tempo i riti di passaggio, considerati “sacri”, includevano l’uso di simboli materiali e gestuali di chi li compiva (vestiario, corone, benedizioni, oggetti di culto) e di chi partecipava alla cerimonia (danze, canti, doni) rinnovando e rafforzando così un consenso implicito di appartenenza a un gruppo sociale e culturale. Tali “riti” nella nostra società odierna sono stati scissi tra quelli del mondo religioso, ad esempio quello cattolico (battesimo, riconciliazione, comunione, cresima o confermazione, matrimonio, funerale), e quelli non prettamente religiosi, come i piccoli festeggiamenti che accompagnano il primo giorno di scuola, la festa di laurea, l’addio al nubilato o al celibato, e così via.

Quando non vi sono principalmente i riti “ufficiali” a scandire i passaggi o le “rotture-cambiamenti”, i ragazzi ne creano altri, non sempre conosciuti dal mondo formale come, ad esempio, quelli necessari per essere ammessi a bande o gruppi in cui cercare identificazione, protezione e possibilità di differenziarsi. Un luogo “non luogo” (Augé 1996) privilegiato oggi dai giovani dove “incontrarsi” per creare riti, regole pericolose, appartenenze a gruppi internazionali, è il mondo di internet e dei social network. Si creano “contatti virtuali” nei quali avvengono rituali scelti da adolescenti di tutto il mondo per sfidare non solo se stessi ma anche il mondo degli adulti, oltrepassando tragicamente le regole del proprio mondo sociale. Un esempio estremamente sconvolgente è il gioco “Blue whale” (balena blu) ideato dal ventiduenne russo Philip-Budeikin e diffuso tra gli adolescenti non solo russi ma anche spagnoli, portoghesi, messicani, cileni e brasiliani, dove l’obiettivo finale è il suicidio. 

RITUALE MASCHILE E FEMMINILE: LA CAPANNA SUDATORIA

In altre culture non europee avvengono tutt’oggi cerimonie e rituali importanti non solo per l’entrata degli adolescenti nel mondo adulto ma anche per passaggi interiori di cambiamento e di guarigione. Un esempio delle usanze di tradizione Lakota o nativi americani, è la “capanna sudatoria”. Pratiche simili si trovano anche in altre parti del mondo, il Temascal in Messico, il “Bagno degli Incas” in Perù, e nel nord Europa, soprattutto in Finlandia o nella tradizione celtica, troviamo i “bagni di vapore” o saune. Tale usanza è giunta anche in Italia, e la si pratica soprattutto in “percorsi sciamanici” o esperienze di confronto culturale. 
La capanna sudatoria si costruisce con indicazioni molto specifiche. Ad esempio secondo la tradizione Lakota e messicana, si segue la simbologia della “ruota medicina” (sulla quale vi sono varie interpretazioni) legata alle quattro direzioni e agli elementi della natura. Nell’est risiede lo spirito il cui simbolo è il fuoco o il sole. L'Est è la direzione dove sorge il sole, che dà luce al mondo, portando illuminazione, chiarezza e calore. La stagione collegata all’est è la Primavera e il colore è il giallo. Il Nord è la direzione dove dimora la Sacra Mente. Ci insegna a rendere la mente saggia: la consapevolezza del pensiero come forza creatrice. Il Nord è la dimora dell'Inverno. L'elemento è l'Aria, il colore è il bianco. L'Ovest è la direzione Sacra della Terra. L'Ovest è la direzione dell'introspezione, dello sguardo interiore dell'uomo. Rappresenta la parte fisica, la materia collegata alla terra. L'ovest è la direzione dove il sole tramonta, la stagione è l'Autunno. L'elemento è la Terra, il colore è il nero. l Sud è il luogo di origine dell'innocenza e della fiducia. Il Sud è la direzione ove il sole è più alto nel cielo, è la direzione dell'Estate. Il Sud aiuta a gestire le proprie emozioni. L'elemento è l'Acqua, che rappresenta i vari aspetti dell'emotività umana e dei suoi comportamenti. Il colore è il rosso.

La struttura della capanna è costituita da legni verdi piegati che danno una forma rotonda, (simile a un “igloo”) e vengono ricoperti da coperte di lana per impedire all’aria di passare. Al centro della capanna vi è uno scavo nel terreno dove vengono poste le pietre roventi che bagnate dall’acqua con infuse erbe aromatiche creano l’effetto del bagno di vapore.

L’entrata nell’oscurità della capanna, l’atmosfera calda e umida, richiama il ritorno al grembo di Madre Terra, un momento dove ciascuno ha la possibilità di liberarsi dalle proprie paure, dai traumi antichi, e potersi così trasformare e rinascere più leggeri, per essere poi capaci di stare nella vita con maggior positività e benessere.

La capanna è infatti un vero e proprio “portale” dal quale si entra per poi uscirne diversi, rinnovati. L’aprire la porta della capanna alla fine del rituale è, simbolicamente ed esperienzialmente, un fare rientrare la luce dopo aver attraversato le proprie tenebre. E’ una trasmutazione: le energie oscure, trattenute dentro di sé, possono uscire dalla persona, in modo che possa entrare nuova energia vitale positiva. Questa infatti è la vera funzionalità del rito, un passaggio dal buio alla luce, una rinascita interiore e una purificazione completa del corpo: recuperare o integrare o quanto meno riconoscere, parti perdute o frammentate del sé, magari causate da momenti traumatici che hanno accompagnato la nascita o altre esperienze drammatiche.
RITUALE MASCHILE - Hanblecheya – La cerimonia della ricerca della visione o digiuno della Pipa

Il rituale dell’ Hanblecheya un tempo era prettamente maschile. La famosa abuela (nonna) Margarita Nunez, Messicana, india Chichimeca, membro del Consiglio Intertribale degli Anziani d’America che oggi viaggia per il mondo per condividere le sue conoscenze ancestrali, ha ripreso tale tradizione Lakota, proponendo anche a persone adulte in varie parti del mondo, sia uomini che donne, l’esperienza della búsqueda de Visión (ricerca di visione), proprio per riscoprire l’effetto trasformativo e curativo di tale rituale.

“L'Hanblecheya, parola che sta per “piangere per un sogno o visione”, detto anche “digiuno della pipa”, appartiene ai sette riti sacri Lakota. Veniva effettuato dai giovani nei periodi in cui passano dalla pubertà a quella adulta cercando delle indicazioni sulla loro identità interiore, delle indicazioni sulla strada da intraprendere nella loro vita, prima di importanti cerimonie come la Danza del sole e, in passato, la Danza degli spiriti, prima di azioni di guerra molto importanti”[1].

Il giovane veniva isolato dalla comunità per alcuni giorni: la durata del rituale poteva variare da un minimo di una giornata fino al massimo quattro giorni e quattro notti. Il ragazzo veniva accompagnato da un “uomo sacro” chiamato Wicasa wakan. Con lui accordava la durata della prova che una volta iniziata non poteva più essere modificata per rispettare gli spiriti e onorare la sua parola. Prima che il suo Wicasa wakan lo accompagnasse nel luogo sacro veniva fatto un rito inipi (capanna di sudore). Poi assieme, i due uomini si recavano nel luogo precedentemente preparato in un certo modo: una zona, di solito vicino a un albero, era stata delimitata con quattro bacchette dove vi erano appese le bandierine del colore di ciascuna direzione, ovest nero, nord rosso, gialla est, bianca sud e dove sul filo stavano appese offerte di tabacco precedentemente energizzate con la preghiera e le intenzioni del giovane. L'aspirante in passato aveva con sé soltanto un mantello di pelle di bisonte mentre oggi è più comune il sacco a pelo, la sua pipa cerimoniale e una ciotola d’acqua. Rimaneva lì per tutto il tempo stabilito senza bere né mangiare. L’unico compito era quello di pregare e concentrarsi sull'ottenimento della sua visione, mentre l'uomo sacro o sciamano lo seguiva spiritualmente, pregando, cantando, danzando con lui (anche assieme alla comunità di riferimento) e in certi casi lo vegliava anche fisicamente senza che il ragazzo lo vedesse. Al termine del periodo concordato l’uomo sacro riconduceva il giovane a fare l'inipi e lì avveniva la condivisione dell’esperienza di “visione” tra il ragazzo e lo sciamano. 

Oggi nella búsqueda de Visión il racconto all’interno della capanna di sudore avviene con la partecipazione di vari membri della comunità di appartenenza che hanno sostenuto con canti, danze, preghiere, il giovane, nella sua esperienza di “ricerca di visione”. 

RITUALE FEMMINILE - DONARE IL SANGUE ALLA TERRA
L’abuela Margarita, pochi mesi fa, alla “ricerca di visione”, esperienza comunitaria in Spagna, mi ha detto questa frase “se le donne ritornassero a donare il sangue alla Terra non vi sarebbe più spargimento di sangue sulla terra”. 

Il rituale femminile di donare il sangue mestruale alla terra, è uno dei rituali più antichi del mondo e tutt’ora viene considerato sacro, intimo e molto, molto potente. Molte donne testimoniano che non riuscivano ad avere figli e dopo tale rito sono rimaste incinte. Altre che non trovavano marito o un compagno, e ripetendo tale rito più volte, hanno trovato l’amore della propria vita. Oppure vi sono donne che si sono riconciliate con la loro parte femminile perdonandosi anche per scelte difficili quali aborti scelti o subiti. Da tempi antichissimi la connessione tra il femminile e la Madre Terra, tra la natura biologica e il cosmo è considerata sacra da tutte le culture.

Il rito di donare il sangue alla terra consiste nella raccolta da parte della donna del proprio mestruo, oggi avviene attraverso una coppetta inserita in vagina, mentre un tempo le donne che portavano la gonna e quindi avevano sempre una costante connessione tra la loro natura sessuale e Madre Terra, sentivano quando stava per uscire il sangue e si accovacciavano per donarlo alla terra. 

Il sangue raccolto in un vasetto di vetro viene offerto il giorno stesso alla Madre Terra accompagnando tale gesto con una preghiera o intento se fatto a livello individuale. Tuttavia, il rito vero proprio delle tribù o nelle comunità, viene fatto da un cerchio di donne che si ritrovano attorno a un albero o ad una buca nel terreno e condividono i loro intenti di guarigione, di cambiamento-trasmutazione, di iniziazione e a turno versano il loro sangue nel terreno ringraziando Madre Terra non solo per tutti i doni che ricevono ogni giorno da essa, ma anche per la loro appartenenza al grande ciclo della vita.
“Nelle tradizioni di alcuni nativi americani, le donne mestruate erano solite ritirarsi nelle cosiddette ‘tende della Luna’ in una dimensione di sorellanza, dove si isolavano dalla comunità per sperimentare il loro potere: pregare, meditare, fare guarigioni, suonare il tamburo, cantare e divinare. In quel particolare momento, le donne erano ritenute potentissime a livello spirituale poiché in grado di attraversare i diversi mondi e diventare una sorta di intermediario tra il ‘qui’ e ‘ l’oltre’, tra gli spiriti e gli uomini, riportando messaggi importanti per il benessere della collettività: una funzione di fondamentale importanza per una comunità di tipo sciamanico. Le donne dovevano isolarsi non perché fossero impure (come è stato fatto credere dalle religioni monoteiste e patriarcali) ma perché erano tabù – nel senso originario del termine, cioè ‘sacre’ – estremamente potenti, dunque avevano bisogno di vivere quella particolare condizione come una sorta di viaggio spirituale”[2].

Attraverso il rito di donare il sangue alla terra le donne si riconnettono con la loro parte selvaggia che è la base dell’intuito, della veggenza, della capacità di ascoltare e di ascoltarsi, è la voce che le orienta nella vita. “E’ la forza Vita/Morte/Vita, è l’incubatrice che sussurra nei sogni notturni, si lascia dietro, sul terreno dell’anima di una donna, un cappello ruvido e impronte fangose, che ricolmano del desiderio di trovarla, di liberarla, di amarla”[3].


Il rito di passaggio giovanile lo possiamo anche definire come una forma di “ribellione creativa” (Johnson 2001) rispetto alla routine della vita quotidiana, dove per ribellione non intendiamo una rivoluzione destinata al fallimento focalizzandola solo sul “no”, ma è un apprendimento ad ascoltare profondamente il proprio cuore, la parte più “selvaggia” e intelligentemente direzionarla verso scelte costruttive e creative di vita. Per il/la giovane è un lasciare la liana sicura della famiglia e della propria cerchia sociale, sostando per un breve tempo nel “vuoto” o “volo” trasformativo che gli/le permette di scendere nella profondità del cuore, dove vi sono i veri bisogni e desideri, per poi essere capace di afferrare con forza la propria vita e come una freccia puntata sul bersaglio, fare centro realizzando se stesso/a in una visione di bene personale e comunitario.


Bibliografia:
  • Auge’ M., Non luoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano 1996. 
  • Bauman Z., Modernità liquida, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2002. 
  • Berger P.L., Luckmann T., La realtà come costruzione sociale, trad. it., Il Mulino, Bologna 1966. 
  • Borofsky R. (a cura di), L’antropologia culturale oggi, trad. it., Roma, Meltemi 2000.
  • Crepet P., Non siamo capaci di ascoltarli. Riflessioni sull’infanzia e l’adolescenza, Einaudi, Torino 2001. 
  • Gray M., Luna rossa, Macro Edizioni, Milano 2001.
  • Johnson D. S., Ribellione creativa, L’età dell’Acquario, Torino 2003 (2001).
  • Pinkola Estès C., Donne che corrono coi lupi. Il mito della Donna Selvaggia, trad. it., Frassinelli, Piacenza 1993.
  • Van Gennep A., I riti di passaggio, trad. it., Universale Bollati Boringhieri Torino, 1981.
Sitografia:

martedì 23 ottobre 2018

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